martedì 23 giugno 2015

La malinconica regressione

Ritorno a casa da Marina di Ravenna, Valeria mi parla di cani, di teatro, di cinema, della sua Torino ed io ascolto. Parla con amore della sua città ed io un po' la invidio, perché io in realtà non riesco ad essere così legato a questa terra. Cioè: sono legato, ma sono legato a quella città che ormai non esiste più. Quella città che offriva i film in seconda o terza visione nei piccoli cinemini spesso parrocchiali. Sale cinematografiche in cui vedere circa 3/4 di film era considerata una fortuna, ma che ci permetteva, per poche lire, di assaporare una buona pellicola a prezzi competitivi, ma soprattutto accompagnarne le visione deliziandoci di orsetti gommosi, rotolini o nodi di liquirizia e soprattutto ceci e arachidi o anacardi tostati. Il cinema Alexander (oggi rinomato ristorante), si chiamava Astra. .
Stava in Borgo San Rocco e li difronte all'ingresso, c'era una botteghina mobile che vendeva lupini, ceci secchi, semi di girasole e così via. Quella bottega, per noi giovani era un vero punto di riferimento.
Così come un punto di riferimento era il baretto del cinema Roma che forniva a noi alunni della Corrado Ricci, il sostentamento in "nodi di liquirizia" e che a volte, oltre al sostento, regalava, soprattutto nelle ore di tempo pieno, una possibile fuga da scuola. 
Ma come sempre parlo troppo e volevo invece soffermarmi ad una cosa che a me manca da impazzire. Il cocomeraio. Una struttura in tenda che a pochi passi da via Trieste offriva agli accaldati cittadini in refrigerio più adatto: la fetta di cocomero. Sempre aperto, e sempre pronto a soddisfare il cliente.
Oggi questi cinemini non esistono più, così come non esistono più nemmeno i teatrini parrocchiali dove si imbastivano commedie più o meno credibili, ma nemmeno il sostegno salato o dolce sfuso ed acquistato con norme igieniche scadenti, esiste più. 
Ed è proprio quel che manca...i cinemini, i teatrini, i nodi di liquirizia e il cocomero a fine serata.
Non nascondo che se ritrovassi quei piaceri, forse potrei reinnamorarmi della mia città, ma l'evoluzione (o involuzione) tutto ci ha tolto... e comunque l'ultimo orsetto di gomma, mia cara consorte, me lo mangio io e lo faccio in ricordo dei tempi che furono e che non torneranno più. 
la chiamano Evoluzione... Io ahimè, la chiamo "a che ora parte il primo volo per il pianeta per marte"?
Perdonate il mio bicchiere mezzo vuoto, ma la mancanza di certi spazi di un tempo, hanno cambiato la mia città in un modo che non mi piace e non mi convince. Per cui ora un "tavor" aiuterà a ritrovare sonno, pace e magari metterà a tacere questa malinconia. Qualcuno mi restituisca la mia fetta di cocomero e il mio nodo di liquirizia o fuggirò verso "lidi minori", o verso paesi che ancora credono ai film in seconda o terza visione e che mi offriranno l'opportunità di rivivere le giornate come io desidero.


venerdì 12 giugno 2015

Canzone troppo politicamente corretta

Strani giorni, in cui, al sottoscritto, sudano anche le poche sinapsi del cervello e il sudore amplifica il disagio. Unico sollievo? Perdere tempo, magari con cose inutili. 
Così, digitando tasti a caso sulla tastiera, nasce una poesia o forse una canzone.
Un testo forse di denuncia o forse solo un incidente mentale.
Mia moglie, dopo averlo letto, dice: "E' politicamente troppo corretto". 
Se qualcuno ha voglia di musicarlo, recitarlo, cantarlo, faccia pure. Tanto qui è troppo caldo e quasi non mi accorgo di nulla...

Canzone troppo politicamente corretta 

Ah il popolo Italiano,
così mite, così umano.
Anche se, ma sarà un caso
Da un po’ gli salta la mosca al naso

E allora il popolo s’incazza e dice Basta
Se gli aumenta il costo della pasta.
Dice basta al Mussulmano
Basta al cazzo dentro all’ano
Basta al politico corrotto
Ma poi di corsa a giocare al lotto

Ed è così che il popolo geniale
Rifiuta l’eolico perché ha le pale
Non getta il rifiuto nel cassonetto
Perché risulta poco netto.

E allora il popolo s’incazza e dice Basta!
E si lorda di sugo della pasta.
Dice basta al Nucleare 
E poi spreca a tutto andare.

E poi che cosa abbiamo d’Italiano
Se tutta l’’arte poi svendiamo
A pochi Euro già si sa,
Anche la madre  si venderà.
Poi  in coro ci incazziamo
Perché di ladri già ne abbiamo
Che ci rubano  pane e pasta
E noi, li a dire basta!
E ancora Basta grideremo
Se un ritardo farà il treno
Se il paese sarà a mezz’asta
Per tutta colpa della Casta.

E allora su facebook  condividiamo
La nostra ira a tutto spiano
Se ci ciulano il conto in banca
Che importa: mostriamo chiappe a destra e a manca
E se eretta sarà l’asta
Non diremo certo Basta
Si sa, al sesso non c’è rinuncia
Anche se qualcuno ci denuncia.

(di Daniele "tarlo" Tarlazzi)

Diario di viaggio "il romanzo"

Diario di viaggio: capitolo 1 Giorno prima della partenza. Avere avuto una moglie di un certo tipo, avrebbe dovuto condizionare la vi...